PRIMO LEVI, oggi il centenario della nascita

100 anni fa la nascita di uno degli scrittori più importanti del secolo scorso. Primo Levi, classe 1919, nacque a Torino da una famiglia ebrea di intellettuali piemontesi. Laureato in chimica, esercitò la professione prima di diventare scrittore dopo la traumatica esperienza della deportazione nel campo di lavoro di Monowitz, facente parte dello stesso complesso del più noto Auschwitz.
Se questo è un uomo (1947) è la sua prima opera a testimonianza di quella sua tragica esperienza che, a dieci anni dalla pubblicazione, viene riconosciuta come il manifesto della letteratura concentrazionaria.
Nel 1963 pubblica La tregua, considerata da alcuni la sua opera più alta, che prende avvio dal momento in cui le truppe russe entrano nel lager di Auschwitz, abbandonato dai tedeschi in ritirata.


Il centesimo anniversario della sua nascita è l'occasione per rendere disponibile al mondo la lettera che Levi scrisse ai famigliari il 26 novembre 1945, all'indomani delle leggi razziali, e che fino ad oggi era rimasta segretamente custodita negli archivi dei figli Renzo e Lisa.
E' il primo scritto in cui si racconta largamente in modo così aperto ed intimo. 
La lettera non solo rappresenta la ricostruzione di un percorso estremamente travagliato ma è anche lo specchio dei malesseri di una nazione, quella Italiana, nei primi mesi del dopoguerra in cui una vera pace è ancora lontana. Una lettera scritta con lucidità incredibile per un ragazzo che, all'epoca, aveva solo ventisei anni e una capacità di analisi straordinaria: dai tedeschi per nulla pentiti che meditano vendetta e rivincita, ai russi che hanno dimenticato Marx, passando attraverso la delusione per un'Italia moralmente infettata dal fascismo. Una malattia che pare diventata pestilenza.

E' uno scritto estremamente asettico e distaccato, che non vuole indurre alla commozione, un luogo comune quando si parla di certi argomenti, ma trasuda già fortemente la voglia e la convinzione di raccontare ed è da queste parole che di lì a pochi mesi avrebbe preso forma Se questo è un uomo. Non a caso il titolo della lettera, che ne diventò il capitolo finale, è Non siamo più uomini.
Si legge il racconto di 650 anime deportate e stipate in vagoni merci a gruppi di 50 per quattro giorni e quattro notti consecutive, privati quasi totalmente di cibo e acqua. I 10.000 prigionieri ammonticchiati in baracche da 200 posti, costretti a ore di disumano lavoro per non parlare delle violenze, della fame e del freddo a cui erano sottoposti i loro gracili corpi. L'orrore delle esecuzioni e degli omicidi nei forni crematori.

Si sa, la storia è una ruota che gira e che ritorna sempre, qui Primo Levi parla di noi e della nostra ignoranza, siamo incapaci di imparare dal passato e dai nostri errori: "è avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire".



Enrico

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