RECENSIONE | UNA SPLENDIDA FESTA DI MORTE... l'hotel della violenza e della follia
Una splendida festa di morte (The Shining) è il terzo romanzo dello scrittore statunitense Stephen King, che arrivò in Italia nel 1978.
Molti di voi magari si stanno chiedendo se sto parlando dello stesso libro che, in un non meno recente passato, hanno letto o del quale hanno visto l'omonimo film diretto da Stanley Kubrick e la risposta è si.
Le strategie di mercato forse non si chiamavano ancora 'marketing' all'epoca ma già esistevano, infatti il titolo italiano originario e originale dell'opera era proprio Una splendida festa di morte, poi con il successo del film tutte le case editrici hanno scelto che sulle copertine di questo romanzo dovesse esserci scritto The Shining. Fa figo forse, riempie la bocca e rimanda uno dei classici dell'horror cinematografico internazionale ma non rende giustizia alla vera storia.
Senza andare a fare un confronto libro-film, non è questo il post in cui lo farò, posso però dire che non sembra di leggere due cose totalmente differenti ma ci si va molto vicino.
Per stessa ammissione dell'autore il romanzo rappresenta una delle tappe più
importanti compiute dallo scrittore: l'allontanamento dal genere
thriller-fantastico e l'avvicinamento all'horror, che raggiungerà livelli altissimi con alcuni dei
romanzi successivi.
Documentandomi sull'origine e la nascita della storia, essa doveva essere originariamente ambientata in un parco divertimenti, ma durante una vacanza, King e la moglie Tabitha soggiornarono allo Stanley Hotel ad Estes Park Colorado mentre i dipendenti si preparavano alla chiusura invernale e l'ispirazione venne cambiata in meglio oserei dire.
La storia è ambientata nell'immaginaria cittadina di Stovington nel New Hampshire tra la fine del 1976 e gli inizi del 1977. Comune a moltissime opere di King è la narrazione delle vicende proprio nel periodo storico che lo scrittore sta vivendo, è questa una caratteristica che amo profondamente leggendo un libro perchè sviscera e descrive inconsciamente com'era la vita a quei tempi, soprattutto per un ragazzo giovane come me che negli anni '70, ad esempio, ancora non era nato.
La storia è quella di Jack Torrance che ha perso il proprio lavoro d'insegnante di letteratura inglese dopo aver aggredito uno studente di nome George Hatfield, cerca di portare a termine una commedia alla quale lavora da tempo e accetta un lavoro offertogli dall'amico Al Shockley: trasferirsi come guardiano invernale all'Overlook Hotel, un imponente albergo costruito all'inizio del XX secolo che domina le alte montagne del Colorado e situato a 65 chilometri dal più vicino centro abitato.
Nell'immaginario collettivo trovarsi di fronte a una situazione del genere suscita grande soggezione: tre persone sole in un hotel sperduto chissa dove per l'intero periodo invernale e pochissime possibilità di contatto con altri membri del genere umano.
Direi che le premesse per un horror ci sono eccome.
Jack porta con sé la moglie Wendy e il figlio Danny
di cinque anni, la famiglia spera di ritrovare nell'albergo un periodo
di serenità, correndo appunto il rischio di rimanere isolati da tutto il
mondo esterno a causa della neve che li bloccherà durante l'inverno.
Appena arrivati Jack ha un colloquio col direttore dell'albergo, Stuart Ullman, il quale informa che molti anni prima Delbert Grady, guardiano di quell'anno, impazzì e si uccise
dopo aver fatto a pezzi la moglie e le sue due figlie.
Quello è stato
solo uno dei tanti omicidi e suicidi avvenuti nell'albergo.
Tan-tan-tan-taaaaaan, voi accettereste mai un lavoro in posto del genere? Come minimo vi si drizzerebbero i capelli in testa e vi prendereste un lungo periodo di decisione ma d'altronde, come dicevo prima, il libro rispecchia molto bene la situazione sociale di quel periodo storico e proprio in quel periodo l'america non aveva una situazione economica idilliaca e il povero Jack si trovò quasi costretto ad accettare l'incarico per poter campare.
Prima che gli ultimi lavoratori lascino l'hotel, Danny conosce il cuoco afroamericano Dick Hallorann con cui ha in comune dei poteri extra-sensoriali,
la cosiddetta 'aura' che gli permette di vedere fatti accaduti o che
accadranno in futuro.
Dick dice a Danny che vivendo nell'albergo
potrebbe capitargli di vedere alcuni dei fatti di sangue accaduti in
passato, ma non dovrà averne paura perché non sono immagini reali e mette in guardia il bambino avvertendolo di non
entrare nella camera 217 e che se mai avrà bisogno d'aiuto basterà
chiamarlo con la forza del pensiero e lui lo sentirà.
L'elemento soprannaturale non può mai mancare nei libri dello Zio, come in Carrie si trattava di telecinesi qui è qualcosa di diverso dallo spostare gli oggetti con il pensiero.
Viene definito come 'aura' ed è molto complicato, ogni lettore è libero di interpretarlo a modo suo ma per me è come se Danny fosse a metà tra un sensitivo ed un semplice umano, essere in grado di leggere nella mente delle persone e influenzarle, a cinque anni, è un potere del quale non riesce nemmeno a rendersene conto, tanto da chiederlo a se stesso.
King è bravissimo in questo gioco e sembra essere lui a leggere nella nostra mente per sapere ciò che vogliamo sentirci dire da lui, ciò che vogliamo leggere ogni volta e fa sempre centro perchè ogni parola scritta ti cattura e conduce nei meandri più reconditi del 'buio'.
Con il passare del tempo la famiglia si ritrova isolata dalla neve e Danny, grazie ai suoi poteri e all'aiuto dell'amico immaginario
Tony, avverte il peso degli orribili avvenimenti passati che si
materializzano davanti a lui, come l'omicidio nella camera 217, ma
impara anche ad opporsi ad essi e a scacciare le insidiose presenze.
Intanto anche Jack, nel giardino, ha una strana esperienza: vede le siepi a forma di animali cambiare posizione quando non le guarda e poco alla volta intuisce e capisce ciò che è successo nell'hotel nel corso degli anni.
Rovistando poi nel sotterraneo scopre dei documenti
compromettenti sulla storia dell'albergo.
Ormai non ci sono più dubbi, l'intero edificio è controllato da forze maligne, le stesse che indussero il precedente guardiano a commettere gli atroci orrori ai danni della propria famiglia
Jack rimane vittima di queste
forze e viene spinto ad aggredire moglie e figlio attraverso un
incubo in cui suo padre gli parla tramite una radio dicendogli che la sua famiglia sarà sempre contro di lui.
Siamo al momento cruciale della storia e un elemento nuovo fa capolino tra le righe: il concetto di edificio che ha una coscienza, un'idea già esplorata da Edgar Allan Poe in La caduta della casa degli Usher e non a caso King è un suo grande estimatore.
Le pagine scorrono veloci in un susseguirsi di atti macabri e di una violenza inaudita che ti accompagnano fino allla fine. La descrizione dei particolari è poi formidabile, sembra quasi di iniziare a sentire delle voci nella testa e chiedersi veramente: 'ma sono io il Jack?'.
Col passare del tempo Jack inizia ad avere pensieri sempre più negativi
riguardo alla sua famiglia e Danny, percependo il pericolo per suo padre
prova ed entrare nella sua mente, ma ne viene infine scacciato dalla
volontà maligna dell'albergo che imitava la voce del padre e, in preda
al panico, chiama Dick che accorre con un gatto delle nevi.
Jack, ormai fuori di se, senza più identità e allontanato da Wendy, si reca nella sala da ballo dove si sta
svolgendo una festa e confrontandosi con Lloyd (il barman) capisce che l'albergo vuole Danny e si ingelosisce poiché 'è lui il custode
dell'albergo'.
Subito dopo incontra il fantasma di Delbert Grady che
cerca di convincerlo ad uccidere il figlio (per impadronirsi della sua
anima) e la moglie.
Il nervosismo, la sbornia e
una botta alla testa annebbiano la mente di Jack, permettendo
all'albergo di controllarlo.
Ci si avvia quindi alla conclusione del libro in un tripudio di follia dilagante che sfocia in un 'combattimento' furioso e all'ultimo sangue tra i due coniugi con un figlio inerme, oggetto dello scontro.
La violenza è davvero a livelli alti, quasi splatterosi e da voltastomaco per i più deboli di cuore ma gli amanti del genere lo adoreranno. Non può che essere così.
Volete sapere l'esito dello scontro? Non ve lo dico naturalmente, anzi vi ho già detto fin troppo.
Non mi stancherò mai di dirlo, Stephen King è un genio e non a caso viene definito il maestro indiscusso di questo genere. La sua capacità di rendere terrificante ciò che all'apparenza sembra innocuo è magistrale, avreste mai pensato che una siepe potesse arrivare a fare del male ad un essere umano?
Di certo la mente dello scrittore, di questo scrittore è decisamente contorta e a tratti perversa per riuscire a sfornare certe opere ma che ci volete fare, riesce con ogni romanzo a catapultarti nella sua follia.
Una splendida festa di morte (o Shining, se preferite) è il battesimo del fuoco che consacra definitivamente King ad autore internazionale.
Questo romanzo arriva poco dopo Le notti di Salem, altro grande capolavoro (secondo me migliore, e se ne volete leggere la recensione la trovate su questo Blog) che possiede però caratteristiche molto differenti, non solo nella trama ma a livello stilistico. Ci si trova di fronte ad un cambiamento netto rispetto al precedente, una virata verso qualcosa di diverso che forse non si era quasi mai visto sul piano letterario di quei tempi.
Il così grande successo di questo romanzo deriva anche dal fatto che il RE scrive di se stesso, di uno dei suoi periodi neri della vita: la dipendenza da alcool e droghe e il rapporto con i figli.
Infatti, per sua stessa ammissione, il libro include un'esplorazione della dipendenza da alcool e delle relazioni personali tra genitori e figli inoltre ha anche ammesso di aver basato la figura di Jack Torrance su se stesso.
Infine una piccola nota, non ha nulla a che vedere con il film e se vi siete fermati solo a quello allora rimediate e leggetelo, ne rimarrete sbalorditi soprattutto dal finale, fidatevi.
Il mio voto: 7/10
Enrico
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