INTERVISTE | La dipendenza da droghe e la scrittura
Riporto qui oggi, traducendola, una parte dell’intervista a Rolling Stone
del Novembre 2014 di cui si è parlato molto meno rispetto a quella dedicata alla
fede.
Se rispondendo
alle prime domande King ha parlato dei suoi inizi, di generi letterari e anche di alcuni
critici letterari, qui invece tocca tasti molto personali e anche
dolorosi, come vedrete.
Vorrei parlare di scrittura, ora.
Descrivimi una tua giornata tipica mentre stai lavorando a un libro.
Mi alzo.
Faccio colazione.
Cammino per circa tre miglia e mezzo.
Torno, vado nel mio studiolo, dove tengo il manoscritto, con l’ultima
pagina che mi è piaciuta in cima.
Leggo ed è come imboccare una pista di
rullaggio, posso procedere alla revisione e ritornare
in quel mondo, qualunque esso sia.
Non passo tutto il giorno a scrivere.
Posso scrivere delle prime stesure per due ore, poi tornare indietro
per rivederne alcune e stampare quello che mi piace, e poi smettere.
Ogni giorno, anche nei fine settimana.
Un tempo scrivevo di più e più velocemente ma l’età ti rallenta un po’.
La scrittura è una droga per te?
Sì, certo. Mi piace.
Ed è una delle poche cose ora che prendo meno e
ha un maggior effetto.
Di solito con droga e alcol, più ne prendi meno
fanno effetto, nel tempo.
Scrivere è sempre ottimo,
ma crea dipendenza, diventa un comportamento ossessivo-compulsivo.
Per
esempio, lavoro sei mesi alla prima stesura di qualcosa, e poi mi fermo
del tutto per dieci, dodici giorni per lasciar decantare il tutto.
Ma
durante quei giorni faccio ammattire mia moglie, che dice “ Togliti di
mezzo, esci da casa, vai a fare qualcosa, dipingi una casetta per gli
uccelli, qualunque cosa! ”.
E allora guardo la tv, suono la chitarra, mi dedico a qualcosa, ma
quando vado a letto la notte faccio sogni pazzeschi, di solito non molto
piacevoli, perché qualunque sia il meccanismo che porta a scrivere storie non vuole fermarsi.
Quindi se non va a finire su una pagina deve finire altrove, e ho
questi sogni.
E sono sempre sogni che si focalizzano su vergogne o
insicurezze.
Quello ricorrente è che io devo recitare su un palcoscenico, vado in
teatro, è la sera del debutto e non solo non trovo i miei abiti di
scena, ma mi rendo conto che non ho neanche imparato le battute.
Dopo tutti questi anni di successi hai ancora paura del fallimento?
Certo. Ho paura di molte cose, in realtà.
Paura di fallire con la
storia che sto scrivendo, che non venga come dico io o di non esser
capace di finirla.
Pensi che la tua immaginazione sia più attiva della maggior parte delle persone?
Non lo so. È più allenata. Immaginare fa male.
Può darti il mal di
testa.
Forse non fa male fisicamente, ma mentalmente sì.
Ma più lo fai,
più te ne liberi.
Tutti hanno questa capacità, ma non penso che tutti la
sviluppino.
Bello, ma non molti sanno fare quello che fai tu.
Mi ricordo quando ero uno studente che scrivevo storie e romanzi, alcuni dei quali furono poi pubblicati, altri no.
Era come se la mia testa stesse per esplodere, talmente tante cose volevo scrivere in una volta.
Avevo un sacco di idee, tutte intasate.
Come se avessero bisogno di
chiedere il permesso per uscire.
C’era questa falda acquifera
sotterranea di storie che volevo raccontare e dovevo solo conficcarvi
una tubatura per far sì che tutto fiottasse fuori.
Ce ne sono ancora
adesso, ma non così tante.
Quando hai avuto la prima idea di Revival?
L’avevo sin da ragazzo, davvero.
Alle superiori avevo letto una storia intitolata “The Great God Pan” (Il grande dio Pan di Arthur Machen)
e c’erano questi due personaggi che aspettano che questa donna torni
dal regno dei morti e gli dica cosa c’è nell’aldilà.
Mi dava i brividi.
Più ci pensavo, più pensavo a una cosa tipo Frankenstein di Mary
Shelley.
Quanto tempo ci hai messo per scriverlo?
L’ho iniziato nel Maine e finito in Florida.
Un libro vero richiede
almeno un anno.
La prima stesura può essere grezza, poi si rifinisce,
togliendo le cose che non funzionano.
Qualcuno ha chiesto a Elmore Leonard
“ Come si fa a scrivere un libro che qualcuno voglia davvero leggere? ” e
lui ha risposto “ Devi eliminare tutte le cagate pallose.”
Hai messo qualcosa di tuo nel personaggio di Jamie?
Certo che sì.
Jamie è un tizio che diventa dipendente dalle droghe
dopo un incidente con la moto e io ho avuto problemi con la droga fin
da… be’, non lo so.
Penso di aver avuto problemi di droga fin dal
college.
Hai avuto anche un grosso problema con l’alcol; quando ne hai preso coscienza?
Ho iniziato a bere a 18 anni.
Ho realizzato che avevo un problema
più o meno quando il Maine è diventato il primo stato ad emanare una
legge sul reso di bottiglie e lattine.
Non si poteva più gettarle nella
spazzatura, ma dovevi raccoglierle e portarle ad un centro di riciclo. E
in casa bevevo solo io, mia moglie beveva se mai un bicchiere di vino e
basta.
Insomma una sera vado in garage e il bidone della spazzatura
che usavo per le birre era pieno fino all’orlo.
Era stato svuotato la
settimana prima.
Io bevevo più o meno una confezione di birre a sera.
E
ho pensato: “ Sono un alcolizzato ”.
Ho pensato anche “ devo stare molto attento, perché se qualcuno venisse a
dirmi bevi troppo, devi smettere, io non sarei capace ”.
In che momento hanno fatto la loro comparsa le droghe pesanti?
Era più o meno il 78, circa nello stesso periodo in cui ho realizzato
che non mi controllavo più col bere.
Cioè, pensavo di controllarmi, ma
non era così.
Era cocaina?
Sì, coca. Sono stato un consumatore accanito dal 1978 al 1986, qualcosa del genere.
E scrivevi sotto l’effetto della coca?
Oh, certo, dovevo.
Voglio dire, con le sbornie era diverso, potevo
aspettare, senza bere o altro.
Ma la coca la usavo in ogni momento.
La qualità della scrittura ha iniziato a diminuire?
Sì, sì. Voglio dire, The Tommyknockers (tradotto anche come Le creature del buio)
è un libro orrendo.
Era l’ultimo che ho scritto prima di ripulirmi.
E
ci ho pensato a lungo, molto dopo, dicendomi: “ C’era un buon libro qui,
sotto tutta quell’energia fasulla che ti dà la cocaina, e dovrei tornare
indietro ”.
Il libro è di circa 700 pagine e ho pensato: “ Forse qui dentro c’è un buon romanzo di 350 pagine ”.
The Tommyknockers è l’unico tuo libro che ritieni malfatto?
Be’, non mi piace molto neanche Dreamcatcher (L’Acchiappasogni).
L’ho scritto dopo l’incidente e usavo molto Oxycontin
per il dolore, non potevo lavorare al computer perché star seduto in
quella posizione era molto doloroso.
Quindi scrivevo tutto a mano ed
ero abbastanza stonato quando l’ho scritto, a causa dell’Oxy: è un altro libro che mostra i segni delle droghe all’opera.
Se dovessi scegliere il tuo libro migliore, quale sarebbe?
Lisey’s Story (La storia di Lisey).
Lo sento come un libro importante perché è un libro sul matrimonio,
e non ne avevo mai scritto.
Volevo raccontare due cose : una è il mondo
segreto che si costruisce all’interno di un matrimonio ; e l’altra è
che anche in questo mondo intimo c’è sempre qualcosa dell’altro che non
si conosce.
Enrico
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