RECENSIONE | LA RAGAZZA DI POLVERE... Bosch e il Cold Case Verloren
La ragazza di polvere (The Closers) è l'undicesimo romanzo di Michael Connelly con il famosissimo detective Harry Bosch,
edito nel 2005 e facente parte di una serie di opere, con protagonista
il detective, che hanno scalato le classifiche di tutto il mondo.
Anche questa storia arriva a distanza di un solo anno
dalla precedente, indice quindi di una fervida fantasia dello scrittore
che ha le idee ben chiare sul suo filone letterario che non smette di
incassare milioni di dollari in tutto il pianeta ogni anno.
Un
successo strepitoso per un ex giornalista di cronaca nera che deriva sicuramente dalla sua
esperienza pregressa con il giornale.
Tutti
quegli aticoli scritti per il Los Angeles Times vuoi non abbiano
contribuito a fornire buoni spunti per le sue indagini letterarie?
Protagonista, come detto, è sempre Hieronymus Bosch che vive nella caotica e violenta Los Angeles ed è un agente capace ma dal carattere difficile. Piccolo orfano, reduce dal Vietnam, un passato di eccessi tra fumo e alcol, un matrimonio fallito e una casa semidistrutta da un terremoto ne fanno un elemento importante per le indagini più complesse ma "scomodo" per i superiori che subiscono pressioni politiche e d'immagine alle quali l'ormai cinquantenne detective non si è mai piegato.
Il nostro detective rientra in servizio dopo tre anni di congedo forzato e viene assegnato alla squadra che si occupa di risolvere quelli che vengono chiamati i 'cold case' (casi irrisolti) al fianco di Kizmin Rider, sua vecchia partner che lo ha convinto a tornare al dipartimento perchè, nonostante l'età, il suo talento è troppo prezioso ed utile per essere speso come investigatore privato.
Il primo caso da risolvere riguarda Rebecca Verloren, uccisa 17 anni prima sulle colline di Chatsworth: quello che viene in aiuto alla squadra è un 'cold hit', un riscontro dato dal DNA ottenuto da alcuni frammenti di pelle ritrovati sull'arma del delitto. Tutti gli indizi, DNA per primo, portano a Roland Mackey, un tipo con un difficile passato e con una storia di neonazismo alle spalle.
Bosch e Rider scoprono che il vicecapo Irving, tradizionale antagonista di Bosch, è coinvolto in prima persona, in quanto in passato aveva cercato di insabbiare il caso per paura che il figlio di un altro importante personaggio della polizia, anch'egli neonazista, venisse coinvolto.
I due, proseguendo le indagini, capiscono che Mackey non c'entra nulla, allorché lo stesso viene ucciso, e arrivano a trovarsi in una situazione inaspettata sospettando che questo suo primo incarico non sia stato assegnato apposta a Bosch perché diventi anche l'ultimo.
Un bel thriller appassionante ed avvincente, i 'cold case' hanno sempre un fascino particolare perché gli investigatori gettano reti, come i pescatori, per raccogliere quante più informazioni possibili perché vedono il dolore negli occhi dei familiari, a distanza di anni.
Il protagonista è sicuramente meno aggressivo e solitario rispetto ai precedenti romanzi; qui lo troviamo in una veste più "umile", più accondiscentente, che magari a qualcuno potrebbe piacere meno, ma rimane comunque il mitico Bosch, con le sue intuizioni e le sue trovate che, alla fine, portano alla soluzione del caso.
Effettivamente un po’ lento ma si riprende alla grande nel finale con ritmi serrati, colpi di scena, indizi in ogni dove e false piste.
Un poliziesco senza troppo sangue, i sentimenti dei protagonisti sono in evidenza senza però il rischio di trasformarlo in un trattato di psicologia.
Un libro che piace anche perché 'equilibrato' sotto ogni aspetto.
Connelly rimane una garanzia: è fantasioso, stimolante e avvincente. Non mi stancherò mai delle sue trame, i dialoghi sono sempre una garanzia di qualità e realismo.
Entra nei suoi personaggi, coinvolgendo il lettore nelle emozioni e nelle dinamiche del romanzo, che avvince al punto che riesce davvero difficile interrompere la lettura.
In altri termini, il lettore entra nella vicenda divenendone quasi un protagonista.
Unica pecca sull'editore che spara un titolo che con il romanzo non c’entra niente, l'originale è 'The closers', che fa riferimento al baseball dove il closer è il lanciatore che entra in condizioni estreme per cercare di salvare la partita.
Enrico
Protagonista, come detto, è sempre Hieronymus Bosch che vive nella caotica e violenta Los Angeles ed è un agente capace ma dal carattere difficile. Piccolo orfano, reduce dal Vietnam, un passato di eccessi tra fumo e alcol, un matrimonio fallito e una casa semidistrutta da un terremoto ne fanno un elemento importante per le indagini più complesse ma "scomodo" per i superiori che subiscono pressioni politiche e d'immagine alle quali l'ormai cinquantenne detective non si è mai piegato.
Il nostro detective rientra in servizio dopo tre anni di congedo forzato e viene assegnato alla squadra che si occupa di risolvere quelli che vengono chiamati i 'cold case' (casi irrisolti) al fianco di Kizmin Rider, sua vecchia partner che lo ha convinto a tornare al dipartimento perchè, nonostante l'età, il suo talento è troppo prezioso ed utile per essere speso come investigatore privato.
Il primo caso da risolvere riguarda Rebecca Verloren, uccisa 17 anni prima sulle colline di Chatsworth: quello che viene in aiuto alla squadra è un 'cold hit', un riscontro dato dal DNA ottenuto da alcuni frammenti di pelle ritrovati sull'arma del delitto. Tutti gli indizi, DNA per primo, portano a Roland Mackey, un tipo con un difficile passato e con una storia di neonazismo alle spalle.
Bosch e Rider scoprono che il vicecapo Irving, tradizionale antagonista di Bosch, è coinvolto in prima persona, in quanto in passato aveva cercato di insabbiare il caso per paura che il figlio di un altro importante personaggio della polizia, anch'egli neonazista, venisse coinvolto.
I due, proseguendo le indagini, capiscono che Mackey non c'entra nulla, allorché lo stesso viene ucciso, e arrivano a trovarsi in una situazione inaspettata sospettando che questo suo primo incarico non sia stato assegnato apposta a Bosch perché diventi anche l'ultimo.
Un bel thriller appassionante ed avvincente, i 'cold case' hanno sempre un fascino particolare perché gli investigatori gettano reti, come i pescatori, per raccogliere quante più informazioni possibili perché vedono il dolore negli occhi dei familiari, a distanza di anni.
Il protagonista è sicuramente meno aggressivo e solitario rispetto ai precedenti romanzi; qui lo troviamo in una veste più "umile", più accondiscentente, che magari a qualcuno potrebbe piacere meno, ma rimane comunque il mitico Bosch, con le sue intuizioni e le sue trovate che, alla fine, portano alla soluzione del caso.
Effettivamente un po’ lento ma si riprende alla grande nel finale con ritmi serrati, colpi di scena, indizi in ogni dove e false piste.
Un poliziesco senza troppo sangue, i sentimenti dei protagonisti sono in evidenza senza però il rischio di trasformarlo in un trattato di psicologia.
Un libro che piace anche perché 'equilibrato' sotto ogni aspetto.
Connelly rimane una garanzia: è fantasioso, stimolante e avvincente. Non mi stancherò mai delle sue trame, i dialoghi sono sempre una garanzia di qualità e realismo.
Entra nei suoi personaggi, coinvolgendo il lettore nelle emozioni e nelle dinamiche del romanzo, che avvince al punto che riesce davvero difficile interrompere la lettura.
In altri termini, il lettore entra nella vicenda divenendone quasi un protagonista.
Unica pecca sull'editore che spara un titolo che con il romanzo non c’entra niente, l'originale è 'The closers', che fa riferimento al baseball dove il closer è il lanciatore che entra in condizioni estreme per cercare di salvare la partita.
Il mio voto: 7/10
Enrico
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