RECENSIONE | LA SFERA DEL BUIO... orso e lepre e pesce e uccello

La sfera del buio (The Dark Tower IV: Wizard and Glass) è il quarto libro della serie La Torre Nera scritta da Stephen King.
Il volumone (di quasi 700 pagine) inizia pochi minuti dopo la fine di Terre desolate, dopo che Jake, Eddie, Susannah e Roland sfidano inutilmente Blaine il Mono ad una gara di indovinelli. Eddie sconfigge il computer pazzo con delle freddure, giudicate dal treno insulse e completamente prive di logica, ma che, proprio grazie a questi, lo portano all'autodistruzione.
I quattro pistoleri ed il bimbolo Oy sbarcano alla stazione di Topeka, che con grande sorpresa scoprono essere posizionata nel Kansas degli anni ottanta. La città è deserta, questa dimensione parallela è stata spopolata dalla stessa influenza descritta da Stephen King in L'ombra dello scorpione, soprannominata Captain Trips.
Il Ka-tet lascia la città attraverso l'autostrada del Kansas e, quando si accampa per la notte nei pressi di un buco dimensionale che Roland chiama 'sottilità', il pistolero racconta il suo passato.
All'inizio della storia-nella-storia, Roland aveva appena guadagnato le sue pistole, l'unico a memoria d'uomo a farlo a quattordici anni. Lo fece perché scoprì il consigliere di cui suo padre si fidava, il mago Marten Broadcloak, a letto con la madre, Gabrielle Deschain. Il padre di Roland, Steven, gli vietò di vendicarsi di Marten, e lo spedì verso est, lontano da Gilead, per proteggerlo. Roland si allontana accompagnato dai suoi due amici, Cuthbert Allgood e Alain Johns.
Poco dopo il suo arrivo nella lontana Baronia di Mejis, Roland si innamora di Susan Delgado che gli fa perdere la ragione e rischia di dividerlo per sempre dall'inseparabile amico Cuthbert.
I tre riescono anche ad impossessarsi di una magica sfera che fa parte dell'Iride del Mago (la Sfera del Buio) di colore rosa. Quando la sfera mette Roland di fronte alla scelta tra il salvataggio di Susan e la ricerca della Torre Nera.

Roland è inquieto perché deve raccontare qualcosa ai suoi compagni. Qualcosa di fondamentale per il loro viaggio, qualcosa con cui è doloroso fare i conti. Tergiversa e rimanda per tre volumi, ora è giunto il momento. Si siede e racconta, per tutta la notte. Per oltre 500 pagine, wow.
E Stephen King se la gode.
Racconta una potente storia western che è quasi un omaggio al genere da quanto è perfetta e in tema; tanto che gli elementi extra canone, come la stupenda strega Rhea e la sfera che dà il titolo al volume, per quanto fondamentali, non scalfiscono la completa 'westernità' della storia.
Lo scontro al Saloon con i tre cattivi della Bara Blu è un passo meraviglioso, descritto con così tanta arguzia e precisione da volerci partecipare tanto quanto i protagonisti.
Da come Stephen King se lo prepara, curandolo come un figlio, a come lo realizza, a come lo scioglie, dimostra una capacità lessicale imponente. E' drammatico, patetico, ironico allo stesso tempo. Sembra Sergio Leone. Ed è un pezzo di bravura straordinario.
Incontriamo un giovanissimo Roland e finalmente diamo voce e volto ad alcuni dei personaggi che finora sono stati solo citati e rimpianti di passata. Troviamo un altro Ka-Tet, quello di Roland e dei suoi amici Alain e Cuthbert, impegnati in una missione importante che diventerà vitale.
Un Roland pistolero, leader, amico leale, figlio, dissimulatore e innamorato.
Scelta coraggiosa e delicata quella di inserire una storia d'amore a questo punto della narrazione, che rischia di mandare all'aria un lavoro durato anni e che invece soddisfa la fame vorace del lettore.

Stephen King non perde un colpo con Roland. Riesce a rendere bene la sua natura 'divisa' che accetta la forza completamente irrazionale dell'amore perché sa che non può farci nulla, ma circonda questo nucleo primordiale con strati di razionalità, coerenza e logica.
Insomma, Roland non prende le armi in una battaglia che non può e non vuole vincere, ma non si racconta mai palle. Susan è la ragazza perfetta per il giovane pistolero e tutta l'evoluzione della storia è come deve essere, incantevole quasi come in una fiaba Disney.
Queste 500 pagine di flash-back però siamo sicuri siano scritte per darci gli elementi per andare avanti nella storia? Sono solo una 'chiave' per capire meglio Roland ma non servono al raggiungimento della Torre. Sono sicuro che molti storceranno il naso e sosterranno la teoria che La sfera del buio sia un volume totalmente inutile, un volume che si può anche non leggere.
L'espediente è molto 'tipico' (si ferma l'azione e si racconta. Lo fanno quasi tutte le eroine Disney più o meno dopo dieci minuti di film) e la storia è bella, però anche io l’avrei voluta sentire in un altro modo, magari non di fila, a mo' di sermone. Roland non ha bisogno di chiavi di lettura. È com'è e come deve essere.
Stephen King ama inserire storie autonome nei suoi libri e dice, forse non senza ironia, che quelle d'amore sono noiose, non posso che concordare. Il RE sembra soffrire di elefantiasi letteraria, e se la storia piace, le pagine scorrono via veloci ma se il racconto non appassiona, la lettura diventa una sofferenza interminabile. C'è una morale molto americana di sfondo a questa saga: il fine giustifica i mezzi. Roland e i suoi amici fanno una strage nel locale dei mafiosi e sterminano gli abitanti di Tull e Lud. Gli uccisi sono però dei mutanti, dei pervertiti, i cattivi, insomma, pur con una loro civiltà, che ostacolano gli eroi nel raggiungimento della Torre Nera per ristabilire l'ordine nel mondo.

In La sfera del buio i personaggi sono tanti e tutti a loro modo originali, anche se la divisione tra i buoni ed i cattivi è tracciata da un colpo di scure deciso e non c'è posto per le mezze figure.
Anzi nella parte finale del racconto di Roland, quella più drammatica ed inquietante, emerge ancora una volta la denuncia di King rispetto alle piccole comunità rurali o provinciali, dove la massa indistinta del popolino apparentemente innocuo, ma sostanzialmente ignorante, viene facilmente manipolata dai potenti di turno trasformando "i buoni vicini di casa in mostri assetati di sangue".
Stephen King non rinuncia mai a grattare la patina di rassicurante mediocrità che protegge l'immagine della comunità timorata di Dio e tesa allo spasimo per salvare le quotidiane apparenze.
Esemplificativo in questo senso è il personaggio di Cordelia Delgado, attaccata mani e piedi al patrimonio e al tempo stesso capace di mascherare la sua avidità dietro il perbenismo della donna tutta casa e chiesa, e che guarda caso si ritrova poi alla testa della folla che invoca il rogo.

Traduzione impeccabile come da marchio di fabbrica di Dobner e postfazione dell'autore che si scusa di aver lasciato passare così tanti anni dalla pubblicazione del romanzo precedente, ammettendo come la saga non sia nata con un finale già scritto, ma sviluppata nel corso di più decenni, tra ispirazioni feconde e pause di vera e propria crisi.
Quanto fascino poi, esercita sul sottoscritto il ritrovare in questa tracce o riferimenti più o meno significativi ad altri titoli della produzione di King, come il caso di L'ombra dello scorpione.
Il finale è sconvolgente, ha fatto maturare molto il Ka-Tet che è pronto più che mai a riprendere la strada del vettore.
Ognuno di noi ha la sua Torre Nera, ognuno lotta per arrivarci. Non so se sarò saggio come Roland, furbo come Eddie, generoso come Susannah o coraggioso come Oy, spero solo di arrivare un giorno, alla mia Torre Nera.



Il mio voto: 8



Enrico

Commenti

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